Piacere agli altri a tutti i costi è una pessima idea, ecco perché

Piacere agli altri a tutti i cosi è una tentazione che tanti hanno ma è una pessima idea per la tua felicità e il tuo successo. Ecco perché.

Piacere agli altri: il segreto del fallimento sta nel cercare di accontentare tutti

Per vincere veramente nella vita non basta puntare sulle proprie qualità, cosa  fondamentale ovviamente, ma è altrettanto importante conoscere il proprio nemico nel dettaglio.

Uno dei nemici con cui dobbiamo tutti fare i conti è cercare di piacere agli altri, sempre. A tutti. A tutti i costi.

Bramiamo approvazione e consenso sociale, passando l’intera vita con l’unico e miserabile scopo di cercare di piacere agli altri.

“Così finalmente dimostrerò che valgo qualcosa!”, “Voglio vedere se continuerà a trattarmi come un bamboccio”. Questo è ciò che ti dici nella testa. È questo il motore più grande che ti spinge ad agire.

Praticamente sei una banderuola al vento o meglio alla mercé del primo arrivato che non appena ti muove una critica ti fa mettere in dubbio tutto.

Non importa se questa persona sia un amico stretto, un conoscente, un parente, un mentore o un collega. Sta di fatto che non sei tu. Poco importa da chi provenga quella critica o quel “consiglio accorato”.

Uno studio ha indagato su quali siano i 5 più grandi rimpianti dei malati terminali. Uno di questi è non aver vissuto a pieno la propria vita ed essersi ritrovati a rincorrere per un’intera esistenza le aspirazioni di altri.

Vuoi davvero arrivare ai tuoi ultimi giorni di vita e avere il rimpianto di non aver fatto ciò che amavi per paura di non ottenere un giudizio positivo dal tuo ambiente sociale? Come puoi credere che qualcuno sappia più di te quel che vuoi tu per la tua vita? Non è possibile, e se ti ascolti davvero lo sai benissimo. Allora perché continui a dare così tanto peso a quel che ti dicono gli altri?

Da dove nasce il bisogno (ossessivo) di piacere agli altri

Sicuramente avrai già sentito dire o ti sarai già reso conto che essere accettati ed amati da chi ci circonda è un nostro bisogno essenziale. Secondo la famosa piramide di Maslow, lo psicologo statunitense che ha concepito la gerarchia dei  bisogni umani suddividendoli in cinque differenti livelli, ognuno di noi si realizza passando per i vari stadi che devono essere soddisfatti in modo progressivo.

Come puoi vedere il bisogno di appartenenza si colloca al terzo gradino, subito prima di quello di sicurezza. Una delle paure più diffuse al mondo è proprio quella del giudizio degli altri.

Ma di cosa abbiamo paura concretamente?

Temiamo di non essere accettati.

Spesso per le solite ragioni:

  • le nostre origini,
  • il nostro livello di istruzione,
  • il nostro aspetto fisico,
  • la nostra età,
  • la nostra professione,
  • il nostro conto in banca.

Ognuno di noi sente di avere il proprio “tallone d’Achille”, ma alla base di tutto c’è il timore di essere esclusi dal gruppo, emarginati.

Le ragioni di questa paura, sono da ricercarsi nel nostro processo evolutivo.

Secondo i principi della psicologia evoluzionistica, infatti, tutte le nostre paure, non sono altro che le risposte che il nostro cervello ha elaborato nel corso dei millenni per adattarsi e sopravvivere all’ambiente circostante.

In pratica nel paleolitico chi viveva in un gruppo di cacciatori e raccoglitori aveva molte più probabilità di sopravvivere ad un ambiente così ostile in cui per sfamarsi era necessario cacciare e contemporaneamente dovevi stare attento a non essere cacciato e trasformarti tu stesso in cibo per altri predatori, rispetto a chi era da solo.

In un contesto simile, chi era malgiudicato dagli altri (questo poteva avvenire se si andava contro le convenzioni sociali o se non si faceva il proprio dovere durante le battute di caccia) rischiava di essere allontanato dal gruppo e il tutto si traduceva in morte precoce.

Questo spiega perché i  nostri antenati fossero terrorizzati all’idea di essere mal giudicati dagli altri membri del gruppo, cosa che è rimasta marchiata a fuoco nel nostro DNA e che oggi si traduce nel terrore di   esporci, di apparire diversi e per questo non essere accettati.

Come liberarti dall’ossessione di piacere agli altri

Ora che ne hai capito l’origine sarà inevitabile guardare a questa paura con occhi nuovi.

Certo, sentirci accettati rimane un nostro bisogno, ma non ne va più della nostra sopravvivenza. Qualcuno ti giudica male per quello che fai o dici?

…Chissene!

Non devi andare a caccia con lui, ci sono supermercati aperti 24 ore su 24.

Non possiamo affrontare le sfide poste da una società moderna, dando spazio a paure ancestrali vecchie di decine di migliaia di anni, è tempo di evolversi.

Se ti guardi intorno spaventato, come un cerbiatto abbagliato dai fari di un auto in corsa, prima di compiere qualsiasi azione o prima di proferire parola, come pensi anche solo lontanamente di poter aspirare a traguardi ambiziosi?

Quando è stata l’ultima volta che hai seguito le tue reali preferenze, senza influenze esterne?

Quando è stata l’ultima volta che hai fatto ciò che volevi fare davvero?

Quando è l’ultima volta che sei stato autentico?

Quando è l’ultima volta che sei andato avanti per la tua strada fregandotene delle critiche degli altri?

Se anche ad una sola di queste domande ti sei risposto “non me lo ricordo più” è necessario che tu prosegua attentamente con la lettura di questo articolo.

Due mosse semplici per smettere di avere bisogno di piacere agli altri

Ecco quindi come superare il bisogno di piacere agli altri smettendola di fare due semplici cose:

  1. Smettila di ricercare la perfezione.

Se la convinzione che gli altri ne sappiano sempre di più di noi ci farà fare marcia indietro di fronte alla prima critica, la ricerca della perfezione con annessa e connessa paura di sbagliare, ci impedirà anche solo di cominciare un percorso e fare il primo passo. A conferma di ciò ecco una storia sui vantaggi dell’insuccesso, riportata da John C. Maxwell.

Un insegnante di ceramica in una rinomata scuola d’arte, nell’assegnare il compito di costruire dei vasi, fece un esperimento. Divise la classe in due gruppi. Tutti quelli sul lato sinistro sarebbero stati valutati esclusivamente in base alla quantità del lavoro prodotto, tutti quelli a destra esclusivamente sulla qualità del lavoro. Il suo procedimento era semplice: l’ultimo giorno di lezione avrebbe portato una comunissima bilancia e avrebbe pesato il lavoro del gruppo della quantità, in modo che 25 Kg di vasi avrebbero meritato un ottimo, 20 Kg un buono e così via. Coloro che venivano valutati in base alla qualità, avrebbero dovuto produrre soltanto un vaso perfetto per prendere un ottimo. Beh, al momento della votazione emerse un fatto bizzarro: le opere di qualità più elevata erano state prodotte tutte dal gruppo che veniva valutato per la quantità. A quanto pare, mentre il “gruppo della quantità” sfornava un gran quantitativo di vasi e imparava dai propri errori, il “gruppo della qualità” era rimasto fermo a teorizzare sulla perfezione e alla fine erano riusciti a produrre poco più di qualche grandiosa teoria e un mucchietto di argilla informe.

Mettiti bene in testa che la perfezione non appartiene a questo mondo e nessuno fa eccezione. Poco importa che tipo di obiettivi tu abbia.

L’unico modo per fare progressi è fallire presto, fallire spesso e fallire andando avanti.

2.Smettila di interpretare un ruolo.

Se prendi in esame 10 persone, quasi certamente almeno 9 interpretano un ruolo ben preciso: la pecora bianca o la pecora nera. Le pecore bianche cercano di farsi ben volere da tutti, si adattano alla massa, salgono sul carro dei vincitori ed evitano di esporsi come la peste. Le pecore nere invece sono gli alternativi, vogliono e devono sentirsi diversi dagli altri e sono dei bastian contrari. Entrambi questi  gruppi temono il giudizio degli altri.

Le pecore bianche temono di essere considerate diverse; le pecore nere temono di non essere considerate mai abbastanza diverse. In realtà sono due facce di una stessa medaglia. C’è però una minoranza di persone che ha deciso di non interpretare nessun ruolo, ha deciso semplicemente di intraprendere la via dell’ autenticità e fregarsene di cosa pensa la gente.

Nella vita devi scegliere: non tentare di adattare te stesso agli altri nel vano tentativo di compiacerli. Il tuo problema non è l’autenticità ma la paura e la folle convinzione di doverti adattare agli altri. Ricorda una cosa: le persone autentiche possono piacere o non piacere ma certamente tutti ne riconoscono il coraggio e per molti questo è un valido motivo per ammirarli.

A questo punto ti starai chiedendo: ora che so cosa devo smettere di fare, cosa faccio per uscire da questo circolo vizioso?

Migliora la tua autostima!

A questo riguardo ti sarà utile conoscere la storia di Henry Ward Beecher, un attivista americano che si è a lungo battuto contro la segregazione e lo schiavismo negli Stati Uniti intorno al 1850 ( il fratello dell’autrice di “la capanna dello zio Tom“), prima di diventare un attivista era un ragazzino come tanti che andava a scuola. Un episodio della sua infanzia lo aveva colpito particolarmente, tanto da raccontarlo spesso.

Aveva circa 9 anni e la sua maestra decise quella mattina di interrogarlo su una poesia che tutti avrebbero dovuto imparare a memoria. Henry aveva studiato la poesia per tutto il pomeriggio precedente, quindi iniziò con la prima strofa. Dopo poche parole, la severa maestra scosse la testa e con la mano gli fece cenno di interrompersi. “No, ricomincia!”. Quasi in lacrime, il povero Henry ricominciò da capo, nuovamente, dopo poche battute, la maestra lo interruppe: “Ricomincia!”. Henry a quel punto abbassò la testa, si sedette e non disse più una parola. In cerca di nuove vittime, l’insegnante scrutò la classe fino a quando il suo sguardo non si posò su Chris, un compagno di classe di Henry.

“Tu!” gli disse la maestra “recita la poesia” e Chris cominciò a recitarla. La maestra lo bloccò subito e lo fece ricominciare, proprio come aveva fatto con

Henry: “No!” disse a Chris la quarta volta che ritornava sulla stessa frase, “Hai sbagliato!”.

“Non è vero” rispose il bambino “Ho imparato questa poesia a memoria, so che è giusta”.

A quel punto il volto della maestra si lasciò andare in un sorriso di soddisfazione, “Bravo! Visto?” chiese rivolgendosi ad Henry Beecher “Non è sufficiente conoscere la lezione, devi essere sicuro della tua preparazione”.

Ma ci pensi a quanti “NO” hai ricevuto nel corso della tua vita e quanti ancora ne riceverai?

No! Non puoi farcela!

No! Hai torto!

No! Sei troppo vecchio!

No! Sei troppo giovane!

No! Sei troppo debole!

No! Non funzionerà mai!

No! Non hai i titoli!

No! Non hai l’esperienza!

No! Non hai abbastanza soldi!

No! Non si può fare!

A volte questi “NO” ti saranno urlati dai tuoi genitori, dai tuoi insegnanti o dal mondo intero. A volte sarai tu stesso a pronunciarli nella tua mente. Ognuno di questi “NO” eroderà un po’ della tua autostima se glielo permetterai, finché non deciderai di mollare, di tornare sulla strada sicura e di vivere la vita dell’uomo medio. Ma c’è un’alternativa a questo epilogo scoraggiante.

Impara a dire “SÌ”: Ogni volta che il mondo ti urla contro “NO!” tu rispondigli “ SÌ!” e se non fosse sufficiente, alza il volume del tuo “ SÌ!”, non aver paura di far sentire la tua voce, se non impari a dare valore a te stesso, il mondo intorno a te non ne aumenterà di certo il prezzo.

Quando gli altri smettono di credere in te devi essere tu a crederci il doppio, è tuo dovere farlo.

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