La teoria endosimbiontica ti spiega perché è necessario imparare a fare gioco di squadra per sopravvivere. Ti spiego come non gettare al vento miliardi di anni di evoluzione.

Bastano 3 parole. “Faccio da solo”.

Mi è capitato più volte, invitando le persone al corso Genio in 21 giorni, che nonostante riconoscessero l’enorme vantaggio  di  poter  imparare  le tecniche di apprendimento, mi rispondessero: “Preferisco arrivarci da solo, come ho sempre fatto nella mia vita, grazie”. La mia faccia in quei momenti era un misto tra dispiacere e compassione. A volte gli facevo notare che mentre mi rispondevano con questa frase, stavano andando all’Università e che se veramente avessero fatto sempre le cose da soli, avrebbero anche dovuto scrivere loro

stessi i libri e farsi le lezioni da soli. Qualcuno capiva, qualcuno rimaneva fermo nella convinzione che, fare da soli è meglio. E ci credevano davvero. Forse anche tu hai fatto parte qualche volta della categoria dei “forever alone” (trad. sempre soli) o conosci questi soggetti e sai a chi mi riferisco.

I “forever alone” si nascondono dietro la scusa del “voglio farcela con SOLO le mie forze” per mascherare in realtà una forte paura del confronto e del giudizio. Non c’è altra spiegazione. Capisco che la soddisfazione del riuscire a dire “Ce l’ho fatta da solo, senza l’aiuto di nessuno” faccia molto eroe greco, e ti faccia sentire importante e potente ma è anche una frase molto fittizia. E anche un po’ stupida sotto certi versi. Come quelli che cercano di montare i mobili Ikea senza seguire i foglietti d’istruzioni per poter dire che ce l’hanno fatta senza aiuti. Si magari mettendoci 3 volte tanto.

Non c’è niente di illuminato in questo.

Un conto è quando una persona lo fa perché semplicemente ama le sfide e le vuole vincere. Un conto è chi reputa intimamente che sia più vantaggioso fare le cose da soli, senza bisogno di nessuno. È un pensiero collegato all’orgoglio, all’importanza. È un pensiero profondamente falso. C’è chi vede nel Self Made Man (trad. uomo che si è fatto da sè) il non plus ultra dell’esempio di mito. C’è chi addirittura, come Trump, vuole essere definito tale anche se non lo è. “Donald perde la trebisonda se solo s’insinua che la sua fortuna è un derivato del patrimonio paterno”. La figura dell’eroe povero che contro ogni avversità riesce a migliorare la sua condizione sociale, ha avuto un fortissimo impatto su tutta la famiglia Trump.

Tuttavia Donald non può essere considerato un self-made man, non con un padre come Fred Trump, un uomo definito “capitalista di stato”, costruttore bravissimo nel destreggiarsi nell’arte di ottenere fondi pubblici durante gli anni del New Deal, con lo scopo di costruire case e condomini per le famiglie a basso reddito. Ma nemmeno Fred Trump può candidarsi al titolo di self-made man. Il nonno di Donald, Friedrich, emigrò dalla Germania negli Stati Uniti con lo scopo di arricchirsi e al momento della sua morte lasciò in eredità alla sua famiglia “una casa di due piani nel Queens, cinque lotti di terra edificabili, 4000 dollari di risparmi, 3600 in titoli, quattordici mutui, un patrimonio stimato in 31.359 dollari (circa 497mila dollari del 2016). I veri Self Made Men, come Benjamin Franklin, sono ammirati proprio perché ce l’hanno fatta con le loro forze, senza l’aiuto della famiglia o di altre raccomandazioni. Nato da un mercante di candele come quindicesimo di diciassette fratelli  e diventato, grazie al suo ruolo nella Rivoluzione Americana, l’unico “non presidente” a comparire su una banconota statunitense, è ammirato proprio perché avercela fatta con le sue sole forze, senza l’aiuto della famiglia o di altre raccomandazioni. Ma se ci pensi bene, siamo proprio sicuri che avrebbero avuto lo stesso successo se fossero nati in paesi più svantaggiati, dove la vita non offre certe possibilità? Possiamo dire che hanno sfruttato nel modo migliore le risorse che comunque qualcun altro ha contribuito a creare e messo in piazza.

Hanno sfruttato al meglio e con intelligenza le conoscenze accumulate nel corso della storia. Bernardo di Chartres diceva che “Siamo come nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.”

I “giganti” sono i grandi personaggi del passato, i pensatori, gli scienziati. Hanno lasciato tracce del loro successo, moltissime teorie, invenzioni, strumenti, insegnamenti e a volte anche come non fare. E tutto questo è intelligente usarlo. Se no saremmo ancora ai tempi della pietra.

Il successo non perde di valore se si ammette  di averlo raggiunto anche grazie anche ad altre persone. 

Lascia andare la voglia di dire “Ce l’ho fatta da solo”. È una cazzata. Serve per sentirsi in qualche modo migliori di altri e più grandi di quanto  si è. Non ce n’è bisogno. Inizia a fare veramente SQUADRA con le persone che hai vicino e apprezza gli aiuti. Questo non sminuirà nessun risultato che otterrai. Fare squadra è molto più vantaggioso, da sempre.

Per trovare le origini del concetto di team work dobbiamo risalire alla notte dei tempi. Fino a qualche miliardo di anni fa.

Se al liceo non hai studiato biologia potresti non aver mai sentito parlare della teoria endosimbiontica. Sta per arrivare un “Piero Angela Moment”, quindi mettiti comodo e regalami 30 secondi del tuo tempo per spiegartela e farti capire perché te ne sto parlando proprio ora. Do per scontato che tu sappia che il nostro corpo è costituito da piccole unità funzionali, chiamate cellule. Queste cellule sono del tipo eucariote. Le eucaristie formano qua- si tutte le forme di vita unicellulari e pluricellulari. Altri organismi, come i i batteri, sono invece di tipoprocariote (cellule vecchissime e poco specializzate). Queste ultimi sono stati per milioni di anni l’unica forma di vita sul nostro pianeta. Ad un certo punto si è verificata una sorta di evoluzione.

È stato un evento estremamente significativo nella storia della vita sulla Terra. Così importante che se non ci fosse stato, non ci saremmo proprio. Saremmo ancora dei batteri. Attualmente, vi sono diverse teorie sul modo in cui questo passaggio potrebbe essere avvenuto. Di certo per evolvere è stato necessario un cambiamento. Per spiegare questo salto evolutivo la teoria endosimbiontica è la più accreditata. È stata diffusa verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso da una genetista statunitense, Lynn Margulis.

Secondo questo modello, i mitocondri e i cloroplasti, degli organuli cellulari deputati alla produzione di energia per animali e piante deriverebbero da antichi procarioti che si sono introdotti in cellule più grandi. Immaginati la scena in stile Esplorando il corpo umano. Qui, nelle cellule di maggiori dimensioni i procarioti avrebbero dato origine a un rapporto di simbiosi, cioè uno scambio reciproco di favori. La cellula più grande avrebbe fornito biomolecole e sali minerali, mentre i procarioti avrebbero fornito energia. La teoria viene detta endosimbiontica appunto perché prevede una simbiosi, ossia un rapporto vantaggioso, tra due organismi che vivono l’uno all’interno dell’altro.

Spero che tu abbia capito che la vita per come la conosciamo, è iniziata con il gioco di squadra.

Le cellule hanno iniziato a collaborare fra di loro per creare degli organismi sempre più evoluti, fino ad arrivare a noi. Creando qualcosa capace di svolgere funzioni che ogni cellula da sola non sarebbe mai riuscita a compiere. E questi organismi a loro volta collaborano insieme per creare degli ecosistemi. Questa è la magia della vita.

Eppure dopo miliardi di anni c’è chi ancora risponde “Preferisco fare da solo”. Atteggiamento che anche i batteri hanno capito che è stupido. Ti sarai già accorto, nella tua esistenza che quando si è in una squadra in cui ci si sente allineati, ci sono innumerevoli vantaggi.

Si riesce più facilmente a farsi leva. Se quello che devi fare è per un bene più grande, e può essere utile anche ad altri, ti chiedi di più. Se hai condiviso il tuo obiettivo con qualcun altro, e dai un briciolo di valore alla tua parola, ti impegni nel fare più azioni, a fare anche quello che magari ti piace meno e che da solo avresti trovato tutte le scuse del mondo per non fare.Ti aiuta persino a rompere la barriera del “fancazzismo”. Ti faccio un esempio.

Hai in mente quei ragazzi che in università si aggregano in team per prendere appunti? Una mia collaboratrice, mi ha raccontato che, prima del corso Genio, il suo modo per prendere appunti a lezione era questo. Lei e alcuni suoi compagni avevano creato un power-team in cui a turno un malcapitato doveva prendere appunti per tutti. Quasi parola per parola. Mentre gli altri potevano cazzeggiare allegramente. Lasciamo perdere la tecnica in se per lo studio, che in questo caso, sarai d’accordo con me è praticamente inutile sia per chi cazzeggia, sia per chi scrive parola per parola. Ma di sicuro, se uno si mette in un power-team del genere, quanta voglia avrebbe avuto se fosse stato solo, di seguire il professore e sbobinare la lezione perfettamente? Probabilmente sarebbe il classico studente svogliato che segue la lezione con il telefono in mano. Forse segue più il telefono che la lezione. In questo caso la squadra, trascina, donando ad ogni componente a turno un potere speciale, la motivazione di seguire le ore in classe con la massima attenzione.

Ancora una volta la forza della squadra è più forte del singolo.

E se funziona in squadre del genere, dove l’obiettivo era palesemente poter arrivare alla fine dell’anno con la minima dose di impegno, immagina la forza che dà aggregarsi con chi invece ha voglia di impegnarsi al massimo.Altro che super poteri. Di sicuro ci saranno stati momenti nella tua vita  in cui la forza della squadra l’hai sentita forte. Hai sentito che c’era quella forza in più dentro di te, alla quale sei riuscito ad attingere, che ti ha quindi permesso di superare dei limiti, di allenarti con maggiore intensità, di lavorare di più, di studiare per tempo tutto quello di cui ti eri prefissato, di raggiungere più obiettivi.Quella stessa ragazza di cui ti ho parlato poco fa, ora fa parte della squadra dei collaboratori, e questo le sta permettendo di alzare tutti i suoi standard, partendo dal modo di prendere appunti, alla leva per farlo: dal “voglio fare il mini- mo possibile” al “voglio impegnarmi al massimo”. Non è necessario che la squadra sia sempre vicina fisicamente. Pensa alla squadra più vicina a te, probabilmente è la tua famiglia. Non serve che tu sia vicino ai tuoi familiari per sentirti parte della tua gente. La connessione con la squadra puoi sentirla dentro. Intrisa nei tessuti, tutte le tue cellule sono un specchio di questo. Quindi una volta per tutte, abbandona il vantaggio illusorio che ti dà il dirti questo, e inizia a goderti il più possibile la magia del raggiungere i risultati in squadra. Lascia il forever alone che c’è in te e conservalo al massimo per guardare le serie TV in solitaria.

Circondati da persone che ti ispirano con la quale vuoi confrontarti e lavorare insieme.

Tanto, tranquillo, se sei bravo, o il più bravo, si noterà lo stesso. Come nelle squadre di calcio, i campioni si distinguono. Chiediti con chi stai facendo squadra in questo momento e come puoi migliorare il rapporto con gli altri componenti. Chiediti come puoi essere tu un più per la squadra. Pensa a come puoi sfruttare la squadra per andare più velocemente dove vuoi. Si proprio come le oche che volano verso sud.

Conosci la storia immagino…

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